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20.07.2012

Tribunale di Reggio Emilia: Accordo di Associazione CEE-Turchia ed accesso delle cittadine turche all'assegno di maternità comunale anche se non lungosoggiornanti

 
La norma comunitaria prevalente su quella nazionale di cui all’art. 74 d.lgs. n. 151/01.
 
Tribunale di Reggio Emilia, sez. lavoro, ordinanza dd. 16.07.2012 (O.N. c. INPS, Comune di Fabbrico e Unione dei Comuni della Pianura Reggina) (1409.63 KB)
 

A seguito di un ricorso anti-discriminazione proposto da ASGI, il giudice del lavoro di Reggio Emilia ha riconosciuto ad una cittadina turca regolarmente soggiornante in Italia, con ordinario permesso di soggiorno e coniugata con un cittadino turco, pure lui regolarmente soggiornante, il diritto all’erogazione dell’assegno di maternità comunale previsto dall’art. 74 del d.lgs. n. 151/2001, pur in assenza del requisito del permesso di soggiorno per lungosoggiornanti di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 286/98, richiesto dalla normativa citata.

Il giudice del lavoro di Reggio Emilia ha riconosciuto la fondatezza del ricorso presentato, fondato sul principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale tra cittadini UE e lavoratori turchi e loro familiari, contenuto nell’art. 3.1 della decisione del Consiglio di Associazione n. 3/80, resa in attuazione dell’accordo di Associazione tra Turchia e l’allora Comunità Economica Europea.

 Il cennato principio di parità di trattamento si estende anche alla materia dei “maternity benefits” (art. 4a. della decisione n. 3/80), ed in questa nozione deve essere fatto rientrare anche il beneficio dell’assegno di maternità comunale di cui all’art. 74 del d.lgs. n. 151/2001.

Il giudice di Reggio Emilia richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea maturata sulla materia.  Nella sentenza n. 262/99, la Corte di Giustizia europea ha infatti statuito che il principio di parità di trattamento contenuto nella decisione n. 3/80 implica un obbligo sufficientemente chiaro e preciso, tale da produrre  effetti diretti sul territorio degli Stati membri, attribuendo diritti soggettivi opponibili nei confronti di ciascun  Stato membro. Ne consegue che  il lavoratore turco e i suoi familiari debbono godere dei benefici previsti dalla normativa assistenziale/previdenziale interna dello Stato membro, nei settori coperti dalla decisione n. 3/80, alle medesime condizioni previste per il cittadino dello Stato membro. In quella sentenza, la Corte di Giustizia specificò che in materia di prestazioni familiari o di natalità, la decisione n. 3/80 non contiene alcuna deroga o restrizione al principio di parità di trattamento. Ne consegue – conclude il giudice di Reggio Emilia-  che l’assegno di maternità di base previsto dal d.lgs. n. 151/01 rientra tra i benefici sui quali si estende l’ambito di applicazione del principio di parità di trattamento di cui alla decisione n. 3/80 in attuazione dell’Accordo di Associazione CEE-Turchia.

Tale decisione, essendo atto di normazione comunitaria, trova diretta ed immediata applicazione nell’ordinamento interno, prevalendo su ogni disposizione nazionale incompatibile, la quale dunque va disapplicata (CGE, sentenza 20.11.1990, Sevince, C-192/89), senza necessità di sollevare la questione di illegittimità costituzionale della norma interna (C. Cost. sent. n. 348 e 349/2007).

Il giudice di Reggio Emilia ha dunque disposto la disapplicazione del requisito del permesso di soggiorno per lungosoggiornanti quale condizione per l’accesso al beneficio dell’assegno comunale di base ex art. 74 d.lgs. n. 151/01,  nei confronti della ricorrente, in quanto  familiare di un lavoratore turco regolarmente soggiornanti in Italia. Il giudice ha dunque condannato l’INPS ed il Comune di Fabbrico (Reggio Emilia) e l’Unione dei Comuni della Pianura Reggina a erogare l’assegno, comprensivo degli interessi legali e della rivalutazione annuale. L’INPS e le altre parti convenute sono state condannate inoltre a pubblicare la decisione a proprie spese sul “Quotidiano Nazionale”.

Il giudice di Reggio  Emilia ha rigettato, invece, la parte del ricorso per la quale l’ASGI era intervenuto in giudizio chiedendo il riconoscimento del carattere collettivo della discriminazione ed un  conseguente piano di rimozione collettivo nazionale delle discriminazioni consistente nell’ordine impartito all’INPS di modificare le proprie istruzioni amministrative rivolte ai Comuni con l’indicazione di far accedere al beneficio le categorie di persone protette dalla decisione n. 3/80 dell’Accordo di Associazione CEE-Turchia.

Aderendo ad una tesi minoritaria nella giurisprudenza di merito, il giudice ha, infatti, ritenuto che la legittimazione ad agire  per le associazioni iscritte nell’apposito di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 215/2003, di recepimento della direttiva n. 2000/43, sia prevista esclusivamente in relazione alle discriminazioni fondate sull’elemento etnico-razziale e non a quelle fondate sulla nazionalità, ovvero sulla cittadinanza. Per queste ultime la legittimazione ad agire nei casi di discriminazioni collettive sarebbe prevista solo a favore delle organizzazioni sindacali nel campo dei rapporti di lavoro, in relazione all’art. 44 c. 10 del d.lgs. n. 286/98.

Il giudice non ha accolto la tesi, prevalente in giurisprudenza, che una discriminazione fondata sulla cittadinanza, e che dunque interessa la popolazione straniera in Italia, indirettamente costituisce pure una discriminazione fondata su elementi etnico-razziali, perché viene a colpire una popolazione caratterizzata da elementi etnico-razziali diversi da quelli che in netta prevalenza compongono la popolazione di cittadinanza italiana (si veda ad es. Tribunale di Brescia, ordinanza 13 giugno 2012).

A cura di Walter Citti, consulente legale del progetto di supporto giuridico contro le discriminazioni. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

 

PRINCPIO DI PARITA’ DI TRATTAMENTO IN MATERIA DI SICUREZZA SOCIALE NEGLI ACCORDI EURO-MEDITERRANEI TRA COMUNITA’ EUROPEA E STATI TERZI E NELL’ACCORDO DI ASSOCIAZIONE CEE-TURCHIA.

A cura di Walter Citti, consulente ASGI, servizio anti-discriminazioni.

1 Il principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale previsto dagli Accordi di associazione euro-mediterranei.

Rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario  le clausole  di "non discriminazione" in materia di sicurezza sociale contenute negli  Accordi di  Associazione  euromediterranei stipulati tra la Comunità Europea e i relativi Stati terzi. Si tratta, nello specifico, degli Accordi euromediterranei che istituiscono un'Associazione tra le Comunità Europee e i loro Stati membri, da un lato, e rispettivamente la Repubblica Tunisina, il Regno del Marocco e l'Algeria, dall'altro, tutti ratificati con legge e vincolanti per l'Italia in quanto membro della CE (ora UE).

Tali accordi, infatti,  contengono espressamente una clausola di parità di trattamento nella materia della "sicurezza sociale".

A titolo di esempio,  l'art. 68 dell'Accordo euromediterraneo con l'Algeria firmato il 22 aprile 2002 ed entrato in vigore il 10 ottobre 2005 (e clausole del tutto analoghe sono contenute negli accordi con Marocco firmato il 26.02.1996 ed entrato in vigore il 01.03.2000 e  Tunisia firmato il 17.07.1995 ed entrato in vigore il 01.03.1998,  ma non invece in quelli sottoscritti con  Egitto, Israele, Regno di Giordania, Palestina) prevede che "1....i lavoratori di cittadinanza algerina e i loro familiari conviventi godono, in materia di sicurezza sociale, di un regime caratterizzato dall'assenza di ogni discriminazione basata sulla cittadinanza rispetto ai cittadini degli Stati membri nei quali essi sono occupati. 2. Il termine "sicurezza sociale" include i settori della sicurezza sociale che concernono le prestazioni relative alla malattia e alla maternità, all'invalidità, le prestazioni di vecchiaia e per i superstiti, i benefici relativi agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali, al decesso, le prestazioni relative alla disoccupazione e quelle familiari". Il successivo art. 69 specifica quali sono i destinatari  della previsione sulla parità di trattamento ovvero "i cittadini delle parti contraenti  residenti o legalmente impiegati  nel territorio dei rispettivi paesi ospiti", fissando dunque l'unico requisito della residenza o dell'attività lavorativa legale svolta nel territorio della parte contraente.  (1)

E' opportuno ricordare al riguardo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, secondo la quale innanzitutto tali disposizioni concernenti il divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità nella materia della sicurezza sociale  sono di immediata e diretta applicabilità nell’ordinamento degli Stati membri e hanno il rango di norme di diritto derivato del diritto comunitario, fonte dunque di obblighi e diritti, imponendo dunque la disapplicazione delle norme interne eventualmente confliggenti o incompatibili (in tal senso la causa di riferimento e’ Kziber c. Germania, sentenza CGE 31 gennaio 1991, causa C-18/90). 

La seconda importante questione interpretativa risolta dalla Corte di Giustizia europea e’ stata quella riguardante la nozione di   "sicurezza sociale" contenuta nei citati Accordi euromediterranei  - ed ancor prima negli accordi di cooperazione che li hanno preceduti-, che deve essere intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento CEE n. 1408/71 (ora Regolamento CE n. 883/2004). Come abbiamo già accennato  in precedenza, tale regolamento, dopo le modifiche apportate dal Regolamento del Consiglio 30/4/1992 n. 1247, include  nella nozione di "sicurezza sociale" oltre alle   “prestazioni familiari” ovvero quelle  “prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari “  (ora art. 1 lett. z) Reg. CE n. 883/2004), anche le "prestazioni speciali a carattere non contributivo", definite ora prestazioni “miste” ai sensi dell’art. 70 del Regolamento n. 883/2004/CE, [incluse quelle] destinate alla tutela specifica delle persone con disabilità,   [...] ed elencate nell'allegato II bis (ora allegato X)".   Per quanto concerne l‘Italia, questo allegato menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai pensionati per inabilità.

Al riguardo, si vedano a solo titolo di esempio le conclusioni tratte dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza  sul caso Henia Babahenini c. Belgio (dd. 15/01/1998, causa C-113/97). La Corte era  stata interpellata dal giudice nazionale belga in merito all'applicabilità della clausola di non-discriminazione in materia di "sicurezza sociale" prevista  dal precedente accordo di cooperazione tra Comunità Europee e Algeria, firmato nel 1976 e poi sostituito dall'Accordo euromediterraneo di Associazione,  in riferimento ad una prestazione sociale non contributiva   per disabilità.  La Corte così si esprime:

 "Per quanto riguarda,.., la nozione di previdenza sociale che figura in questa disposizione, dalla citata sentenza Krid (punto 32) e, per analogia, dalle citate sentenze Kziber (punto 25), Yousfi (punto 24) e Hallouzi-Choco (punto 25) risulta che essa va intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento n. 1408/71. Ora dopo la modifica operata dal regolamento (Cee) del Consiglio 30/04/1992 n. 1247, il regolamento n. 1408/71 menziona esplicitamente all'art. 4, n. 2 bis, lett. b ) (vedi anche l'art. 10 bis, n. 1, e l'allegato II bis di questo regolamento), le prestazioni destinate a garantire la tutela specifica dei minorati. Del resto, anche prima di questa modifica del regolamento n. 1408/71, costituiva giurisprudenza costante, sin dalla sentenza 28/5/1974, causa 187/73, Callemeyn (Racc. p. 553), che gli assegni per minorati rientravano nell'ambito di applicazione ratione materiae di questo regolamento... Di conseguenza, il principio,..., dell'accordo, che vieta qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza nel campo della previdenza sociale dei lavoratori migranti algerini e dei loro familiari con essi residenti rispetto ai cittadini degli Stati membri in cui essi sono occupati comporta che le persone cui si riferisce questa disposizione possono aver diritto agli assegni per minorati alle stesse condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini degli Stati membri interessati" .

Con riferimento alla normativa belga sul reddito minimo garantito per le persone anziane, l'equivalente dell'assegno sociale italiano,  e che escludeva da tale provvidenza i cittadini  stranieri a meno che non beneficino già di una pensione di invalidità o di reversibilità, la Corte di Giustizia Europea, ord. 17 aprile 2007 (caso Mamate El Youssfi c. Office National des Pensions) ha concluso che "l'art. 65, n. 1, primo comma, dell'Accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall'altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996 e approvato a nome delle dette Comunità con la decisione del Consiglio e della Commissione 24 gennaio 2000, 2000/204/CE, CECA, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che lo Stato membro ospitante rifiuti di accordare il reddito minimo garantito per le persone anziane ad una cittadina marocchina che abbia raggiunto i 65 anni di età e risieda legalmente nel territorio del detto Stato, qualora costei rientri nell'ambito di applicazione della succitata disposizione per avere essa stessa esercitato un'attività di lavoro dipendente nello Stato membro di cui trattasi oppure a motivo della sua qualità di familiare di un lavoratore di cittadinanza marocchina che è od  è stato occupato in questo medesimo Stato".

Riguardo alla giurisprudenza italiana, c’è da segnalare la recente sentenza della Corte di Cassazione italiana, n. 17966/2011, depositata il 1 settembre scorso, (2) con la quale il giudice di legittimità ha compiuto  un revirement rispetto ad un  suo precedente orientamento giurisprudenziale (ci si riferisce a Cass., sentenza n. 24278 dd. 29.09.2008). Nella recente sentenza, la Suprema Corte prende finalmente atto della corretta portata applicativa della clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale contenuta negli Accordi euromediterranei. La Cassazione rigetta il ricorso dell’INPS contro la sentenza della Corte di Appello di Torino che aveva riconosciuto  ad un cittadino marocchino regolarmente soggiornante in Italia ma privo della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, il diritto alla pensione di inabilità negatagli  sulla base dell’art.. 80 c. 19 l. n. 388/2000. I giudici di legittimità sottolineano che la Corte di Appello di Torino aveva correttamente applicato il principio del primato della norma comunitaria contenuta negli Accordi di associazione CE-Marocco su quella interna confliggente, nonostante  la pensione di inabilità costituisca una  prestazione assistenziale e non previdenziale. Questo  in quanto    non vi è  sovrapposizione tra il concetto comunitario di sicurezza sociale e quello nazionale di previdenza sociale”. Infatti, prosegue la Corte di Cassazione “il concetto comunitario di sicurezza sociale deve essere valutato alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria per cui deve essere considerata previdenziale una prestazione  attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale o discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione legalmente definita e riferita ad uno dei rischi elencati nell’art. 4 c. 1 del Regolamento n. 1408/71, dove sono incluse le prestazioni di invalidità”. La Corte di Cassazione, dunque, conclude che “la Corte di Appello di Torino aveva fatto una corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell’ordinamento interno, per incompatibilità con il diritto comunitario, sia nel caso in cui il conflitto insorga con una disciplina prodotta dagli organi comunitari mediante Regolamento, sia nel caso in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell’ordinamento comunitario, ricavate in sede di interpretazione dell’ordinamento stesso da parte della  Corte di Giustizia europea” (Cass. sentenza n. 26897/2009).

Prima della sentenza di Cassazione dd. 1 settembre 2011, diversi tribunali di merito si erano già espressi a favore dell’applicabilità diretta nell’ordinamento italiano della clausola di parità di trattamento e non discriminazione in materia di sicurezza sociale contenuta negli accordi di associazione euro-mediterranei. Si possono citare al riguardo almeno le tre seguenti decisioni giurisdizionali:

Tribunale di Genova, ordinanza 3 giugno 2009, Ahmed CHAWQUI c. INPS (relativo all’assegno di invalidità); Tribunale di Verona, ordinanza 14 gennaio 2010, n. 745/09 (relativo all’indennità speciale per i ciechi); Corte di Appello di Torino, sentenza n. 1273/2007 dd. 14.11.2007  (relativa all’indennità di accompagnamento).

Dopo la sentenza della Cassazione del settembre scorso, si segnalano due ulteriori pronunce favorevoli dei tribunale di merito: Tribunale di Tivoli, ordinanza dd. 15.11.2011, in merito all’accesso di una coniuge di lavoratore marocchino all’assegno di maternità comunale; Tribunale di Perugia, sentenza  n. 825/2011, in merito all’accesso di un cittadino marocchino all’assegno di invalidità.

E’ evidente, dunque, la fondatezza del ricorso alla clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale contenuta in tali accordi di associazione euromediterranei per sostenere la tesi dell’illegittimità e della conseguente disapplicazione della clausola di cittadinanza o del requisito del permesso di soggiorno per lungosoggioranti ai fini dell’accesso a prestazioni “familiari” di welfare previste dalla nostra legislazione nazionale quali l’assegno INPS per i nuclei familiari numerosi, la “carta acquisti” per minori di anni 3 e l’assegno di maternità comunale di cui all’art. 74 del d.lgs. n. 151/2001 . (2)

2) Il principio di non discriminazione nell’Accordo di associazione Turchia – Comunità  economica europea.

L'art. 3, n. 1 della decisione n. 3/80 del Consiglio di Associazione Turchia - Comunità europea, intitolato «Parità di trattamento», che ricalca il tenore dell'art. 3, n. 1, del regolamento n. 1408/71, così dispone: «1.    Le persone che risiedono nel territorio di uno degli Stati membri ed alle quali sono applicabili le disposizioni della presente decisione, sono soggette agli obblighi e sono ammesse al beneficio della legislazione di ciascuno Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato, fatte salve le disposizioni particolari della presente decisione».

In base all’art. 2 della suddetta decisione n. 3/80 l’applicazione ratione personae riguarda i lavoratori di cittadinanza  turca soggetto o che lo sono stati alla legislazione di uno o più Stati membri, i loro familiari residenti in uno Stato membro e i loro superstiti .

L'art. 4 della decisione n. 3/80, intitolato «Campo d'applicazione ratione materiae», prevede l’applicazione del principio di non discriminazione a tutti i settori della sicurezza sociale riconosciuti come tali dal Regolamento comunitario n. 1408/71 (ora Regolamento n. 883/2004).

Analogamente a quanto avvenuto per le clausole di parità di trattamento contenute negli accordi di associazione euromediterranei di cui abbiamo già trattato sopra, la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha riconosciuto anche a detta clausola contenuta nella decisione n. 3/80 il carattere di un’obbligazione chiara, precisa ed incondizionata, giustificante dunque un effetto diretto ed immediato negli ordinamenti degli Stati membri.

Riguardo alla nozione di “lavoratore”, la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha pure indicato che  debba  essere interpretata con riferimento all’art. 1 lett. a ) del Regolamento n. 1408/71, e quindi debba intendersi la persona assicurata, sia pure per un solo rischio, in forza di un’assicurazione obbligatoria o facoltativa presso un regime previdenziale generale o speciale e indipendentemente dall’esistenza attuale di un rapporto di lavoro (così CGE, Sürül c. Germania,  4 maggio 1999).

Di conseguenza, la Corte di Giustizia europea ha riconosciuto il diritto di una lavoratrice turca residente e legalmente soggiornante  in Germania, ma con un permesso di soggiorno solo provvisorio e non convertibile, di ricevere gli assegni familiare per il proprio figlio convivente alle stesse condizioni previste per i cittadini tedeschi, disapplicando dunque la normativa tedesca sull’immigrazione che condizionava l’accesso a tale beneficio per i cittadini stranieri di Paesi terzi ad un’autorizzazione o permesso di soggiorno convertibile (Sentenza Sürül). In altri termini, la clausola di parità di trattamento prescinde dalla natura del titolo di soggiorno  e dal diverso consolidamento del soggiorno del lavoratore turco o del suo familiare nel Paese membro e non sono ammesse distinzioni tra lavoratori regolarmente residenti con titoli di soggiorno temporanei e lavoratori con titoli di soggiorno di lunga durata o permanenti . (3)

La Corte di Giustizia europea ha inoltre riconosciuto che la nozione di parità  di trattamento di cui alla decisione n. 3/80 vieta non solo le discriminazioni dirette fondate sulla nazionalità, ma anche quelle indirette o dissimulate che, mediante l’applicazione di altri criteri distintivi, si risolvano di fatto nello stesso risultato. Così, nella sentenza Őztürk c. Austria, la CGE ha ritenuto contraria al principio di parità di trattamento la legislazione austriaca che condizionava l’accesso ad una pensione di anzianità anticipata in caso di disoccupazione di lunga durata alla fruizione di prestazioni di disoccupazione per un certo periodo nello Stato membro in questione, senza che potessero essere tenute in considerazione prestazioni di disoccupazione fruite in altro Stato membro. La Corte di Giustizia  ritenne che tale requisito veniva a fondare una discriminazione indiretta in quanto idoneo ad essere soddisfatto in misura proporzionalmente maggiore dai cittadini nazionali (causa C-373/02, sentenza 28 aprile 2004, par. 56-58). (4)

Note

(1)  Informazioni e riferimenti sulla pubblicazione dei testi degli Accordi di associazione euro-mediterranei negli organi ufficiali dell’Unione europea possono essere reperite al link: http://europa.eu/legislation_summaries/external_relations/relations_with_third_countries/mediterranean_partner_countries/r14104_it.htm

 (2) Del resto, in virtù del principio del primato del diritto comunitario sulle norme interne ad esso incompatibili e del conseguente dovere di disapplicazione di queste ultime, l’INPS stesso avrebbe già dovuto estendere per via amministrativa tali prestazioni ai beneficiari della clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale di cui agli accordi euro-mediterranei, così come effettuato a favore delle donne extracomunitarie familiari di cittadini italiani o di Paesi membri dell’UE con riferimento all’assegno di maternità comunale, sebbene anche tale estensione sia avvenuta con un ingiustificabile ritardo di tre anni rispetto al decreto di recepimento della direttiva europea n. 2004/38 (circolare INPS n. 35 dd. 09/03/2010).

(3) Anche in questo caso, pertanto, appare palese l’incompatibilità con la Decisione n. 3/80 del requisito del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti ai fini dell’accesso delle donne di nazionalità turca regolarmente soggiornanti in Italia all’assegno di maternità comunale ex art. 74 d.lgs. n. 151/2001, nonché la loro esclusione dalla ‘social card’ e dall’assegno INPS per i nuclei familiari numerosi.

(4) In questo senso, dunque appare evidente l’inconciliabilità’ con la decisione n. 3/80 del requisito dell’anzianità’ decennale di residenza in Italia ai fini dell’accesso all’assegno sociale per gli ultra 65enni, introdotto dall’art. 20 c. 10 d.l. n. 112/2008, convertito con legge n. 133/2008, chiaro esempio di discriminazione indiretta o “dissimulata”.

 

 
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