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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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23.04.2012

Il Governo rinvia alla Corte Costituzionale la legge regionale lombarda che impone agli stranieri il possesso di un certificato di conoscenza linguistica per l'esercizio delle attivitą commerciali

 
Una discriminazione contraria alle norme UE sulla libertą di stabilimento
 
 

Con delibera del Consiglio dei Ministri dd. 13 aprile scorso,  ai sensi dell’art. 127 Cost., il Governo ha impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale la legge  della Regione Lombardia  n. 3 dd. 27.02.2012 recante disposizioni in materia di artigianato e commercio, di vendita da parte di imprese artigiane di prodotti alimentari di propria produzione e di commercio e fiere.

La normativa regionale aveva introdotto tutta una serie di limitazioni e vincoli allo svolgimento di attività commerciali da parte dei cittadini stranieri. Secondo il Governo talune di queste limitazioni sono incostituzionali perché configurano una diretta discriminazione nei confronti dei soggetti stranieri, sia comunitari che extracomunitari, contraria ai principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza, nonché alle norme dei trattati europei sulla libertà di stabilimento dei cittadini dell’Unione europea in condizioni di parità di trattamento con i cittadini nazionali e che vietano inoltre le distorsioni al principio della libera concorrenza.

La legge regionale approvata in Lombardia, infatti,  prevedeva l’obbligo per i cittadini stranieri, comunitari e extracomunitari,  di essere in possesso di una certificazione ufficiale attestante un adeguato livello di conoscenza della lingua italiana ovvero di un titolo di studio conseguito in Italia ovvero la frequenza di un corso professionale per il commercio, ai fini dell’avvio di un’attività commerciale o del suo prosieguo .

Secondo il Governo, l’applicazione di dette norme anche nei confronti dei cittadini dell’Unione europea crea una evidente violazione delle norme del trattato (art. 49) che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e prevedono un principio di parità di trattamento a favore delle imprese e dei cittadini comunitari. Ne consegue secondo il Governo, anche la violazione della direttiva europea  sui servizi (n. 2006/123/CE) in quanto l’assoggettamento dei prestatori a particolari condizioni e requisiti di accesso a talune attività, in ragione delle natura specifica delle medesime, non può fondarsi, direttamente o indirettamente sulla nazionalità e deve comunque rispondere a criteri di necessità (motivi imperativi di interesse generale), e di proporzionalità (ovvero i requisiti  debbono essere strettamente necessari per conseguire gli obiettivi previsti, i quali non possono essere raggiunti con condizioni meno restrittive). Secondo il Governo, dunque,  la normativa europea vieta che l’accesso alle attività economiche possa prevedere condizioni diverse  a seconda della cittadinanza degli imprenditori o prestatori d’attività. Ugualmente, il requisito del possesso della certificazione linguistica non appare  proporzionato e necessario per il perseguimento degli interessi genericamente richiamati dal legislatore regionale lombardo, quali quello della tutela dei consumatori e della sanità pubblica.

Secondo il governo, dunque, le norme regionali lombarde si pongono in contrasto con l’art. 117, primo comma della Costituzione, in quanto eludono e violano i vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e violano, pertanto, anche l’art. 117 comma 2 lett. a), invadendo illegittimamente le sfere di competenza legislativa  statuali.

Il testo della delibera del Consiglio dei Ministri del 13.04.2012 contenente i motivi dell'impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale

 
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