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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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15.09.2012

Corte di Strasburgo: l’Italia ha violato la CEDU perché ha ritenuto che un possibile matrimonio secondo le usanze ‘Rom’ possa essere la ragione sufficiente per non condurre un’investigazione appropriata su un possibile caso di violenza ed abusi su una minore

 
Corte europea dei diritti dell’Uomo, sent. dd. 31.07.2012.
 
Corte europea dei diritti dell'Uomo, sez. II, sentenza dd. 31.07.2012 (M. e altri contro Italia e Bulgaria) - EN (496.1 KB)
 

Con la sentenza dd. 31 luglio 2012, la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha parzialmente accolto il ricorso di una cittadina bulgara di etnia Rom e di alcuni suoi familiari contro la Repubblica Italiana, in relazione all’insufficiente attività investigativa compiuta dalle autorità di polizia e giudiziarie italiane in merito alla denuncia da ella presentata di essere stata rapita, e ripetutamente picchiata  e  violentata da un da un cittadino serbo, pure di etnia Rom, quando ella era ancora minorenne.

Le autorità italiane, infatti, dopo aver liberato la giovane ed ascoltato la sua testimonianza, sulla base di alcune evidenze testimoniali e fotografiche secondo le quali vi sarebbe stato un possibile matrimonio secondo le usanze Rom tra l’asserita vittima e la persona da Lei accusata - matrimonio concordato tra le due famiglie e sancito da una possibile cessione di denaro dalla famiglia della sposo a quella della sposa – hanno, dunque,  in maniera assai sbrigativa ed approssimativa, negato ogni fondamento alla denuncia,  convertendo il procedimento contro la giovane ed i suoi familiari per le ipotesi di reato di calunnia  e diffamazione. Questo, senza procedere ad alcuna  ulteriore raccolta di evidenze  testimoniali o mediche che avrebbero  potuto eventualmente corroborare quanto denunciato dalla giovane e dai suoi familiari.

La Corte di Strasburgo ha affermato che il divieto della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti di cui all’art. 3 CEDU riguarda non solo i rapporti tra le autorità statuali e gli individui, ma anche il rapporto tra privati ed implica quindi un’obbligazione positiva per le autorità statali di indagare in maniera appropriata, diligente, imparziale ed effettiva su ogni allegazione di atti assimilabili a tortura e trattamenti inumani e degradanti compiuti anche da individui privati nei confronti di altre persone, in special modo, quando le vittime siano minori o persone vulnerabili (par. 99).

Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato che nemmeno trascorso il primo  giorno di indagini ed interrogatori successivi alla liberazione della giovane, le autorità di polizia e giudiziarie italiane hanno sommariamente e sbrigativamente negato ogni fondamento alle dichiarazioni della giovane e dei suoi familiari, ritenendo che un possibile matrimonio secondo le usanze Rom che sarebbe stato stipulato tra le due famiglie e sul quale successivamente  sarebbero  sorti dei disaccordi, costituisse motivo sufficiente per non approfondire l’investigazione e per convertire invece la posizione dei denuncianti in quella di accusati per le ipotesi penali di calunnia e diffamazione.

In tal modo, secondo la Corte di Strasburgo, le autorità italiane sono venute meno agli obblighi scaturenti dall’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

 
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