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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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25.01.2013

Tribunale di Lucca: Il disabile civile di nazionalità marocchina ha diritto alla pensione di inabilità anche se non titolare di carta di soggiorno o permesso CE lungosoggiornanti

 
La giurisprudenza della Corte Cost. e la parità di trattamento prevista dall’Accordo CE-Marocco escludono ogni discriminazione.
 
Tribunale di Lucca , sez. lavoro, sentenza n. 32/2013 dd. 17 gennaio 2013 (171.21 KB)
 

Il Tribunale di Lucca, con sentenza n. 31/2013 dd. 17 gennaio 2013, ha riconosciuto ad una cittadina marocchina, con totale e permanente inabilità lavorativa, il diritto a percepire la pensione di inabilità civile ex art. 12 DL 5/1971 conv. in legge 118/1971, che le era stata negata dall’INPS per la mancanza del requisito della carta di soggiorno o del permesso CE per lungosoggiornanti richiesto dall’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000.

Nella sentenza, il giudice del lavoro di Lucca ha innanzitutto richiamato la giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo della legge finanziaria 2001 che ha introdotto il requisito della carta di soggiorno o permesso CE per lungosoggiornanti ai fini dell’accesso degli stranieri di Paesi terzi non membri UE alle prestazioni di assistenza sociale che costituiscono diritti soggettivi ai sensi della legislazione vigenti, tre cui le prestazioni riservate ai disabili.

Con le sentenze n  11/2009, 329/2011 e 187/2010, la Corte Costituzionale infatti ha  ribadito l’illegittimità costituzionale dell’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000, per violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza. In sostanza, la Corte ha affermato che le prestazioni previste per i disabili sono  dei  benefici sociali che coinvolgono beni e valori  di primario risalto nel quadro dei diritti fondamentali della persona, primo fra tutti il diritto alla salute e  alla salvaguardia delle condizioni accettabili di vita. Pertanto, alla luce dei parametri interpretativi posti dalla Corte Cost. con la sentenza n. 187/2010, tale beneficio sociale è destinato a consentire il concreto soddisfacimento di un bisogno primario inerente alla sfera di tutela della persona umana, che è dunque compito della Repubblica promuovere  e salvaguardare nel quadro del fondamentale principio di uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost, non ammettendosi dunque discriminazioni fondate sulla nazionalità o sull’anzianità di residenza. Questo anche in ossequio agli obblighi internazionali scaturenti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e al principio di non –discriminazione da essa sancito all’art. 14. Tali considerazioni sono state anche recepiti della giurisprudenza di legittimità, vedi Cass. 14 marzo 2012, n. 4110.

Il giudice di Lucca ha ricordato come le sentenze della Corte Costituzionale hanno un effetto retroattivo, con l’unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, potendosi ritenere esauriti i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato. Di conseguenza, visto che nel momento in cui le citate sentenze della Corte Costituzionale sono state pronunciate, il diniego opposto dall’INPS era stato già opposto, ma la sua efficacia e validità potevano ancora essere oggetto di sindacato giudiziale, il giudice di Lucca ha ritenuto che le sentenze della Corte Costituzionale sull’illeggittimità costituzionale dell’art. 80 c. 19 l. n. 388/2000 potevano trovare applicazione.

Nel caso specifico, trattandosi di una ricorrente marocchina, il giudice del lavoro di Lucca ha richiamato anche le disposizioni dell’Accordo euromediterraneo CEE-Marocco, che contengono una specifica clausola di parità di trattamento nella materia delle prestazioni di sicurezza sociale.

L'art. 65 dell'Accordo euromediterraneo con il Marocco firmato a Bruxelles il 26.02.1996 ed entrato in vigore il 01.03.2000 (e clausole del tutto analoghe sono contenute negli accordi con l’Algeria firmato il 22 aprile 2002 ed entrato in vigore il 10 ottobre 2005 e la  Tunisia firmato il 17.07.1995 ed entrato in vigore il 01.03.1998,  ma non invece in quelli sottoscritti con  Egitto, Israele, Regno di Giordania, Palestina) prevede che "1....i lavoratori di cittadinanza marocchina e i loro familiari conviventi godono, in materia di sicurezza sociale, di un regime caratterizzato dall'assenza di ogni discriminazione basata sulla cittadinanza rispetto ai cittadini degli Stati membri nei quali essi sono occupati. 2. Il termine "sicurezza sociale" include i settori della sicurezza sociale che concernono le prestazioni relative alla malattia e alla maternità, all'invalidità, le prestazioni di vecchiaia e per i superstiti, i benefici relativi agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali, al decesso, le prestazioni relative alla disoccupazione e quelle familiari". Il successivo art. 66 specifica che sono esclusi dall’applicazione della  previsione sulla parità di trattamento solo i cittadini di una delle parti che risiedono o lavorano illegalmente nel territorio del paese ospite, fissando dunque l'unico requisito della residenza o dell'attività lavorativa legale svolta nel territorio della parte contraente. 

E' opportuno ricordare al riguardo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, secondo la quale innanzitutto tali disposizioni concernenti il divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità nella materia della sicurezza sociale  sono di immediata e diretta applicabilità nell’ordinamento degli Stati membri e hanno il rango di norme di diritto derivato del diritto comunitario, fonte dunque di obblighi e diritti, imponendo dunque la disapplicazione delle norme interne eventualmente confliggenti o incompatibili (in tal senso la causa di riferimento è  Kziber c. Germania, sentenza CGE 31 gennaio 1991, causa C-18/90). 

La seconda importante questione interpretativa risolta dalla Corte di Giustizia europea e’ stata quella riguardante la nozione di "sicurezza sociale" contenuta nei citati Accordi euromediterranei  - ed ancor prima negli accordi di cooperazione che li hanno preceduti-, che deve essere intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento CEE n. 1408/71 (ora Regolamento CE n. 883/2004). Tale regolamento, dopo le modifiche apportate dal Regolamento del Consiglio 30/4/1992 n. 1247, include  nella nozione di "sicurezza sociale" oltre alle   “prestazioni familiari” ovvero quelle  “prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari “  (ora art. 1 lett. z) Reg. CE n. 883/2004), anche le "prestazioni speciali a carattere non contributivo", definite ora prestazioni “miste” ai sensi dell’art. 70 del Regolamento n. 883/2004/CE, [incluse quelle] destinate alla tutela specifica delle persone con disabilità,   [...] ed elencate nell'allegato II bis (ora allegato X)".   Per quanto concerne l‘Italia, questo allegato menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai pensionati per inabilità.

Al riguardo, si vedano a solo titolo di esempio le conclusioni tratte dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza  sul caso Henia Babahenini c. Belgio (dd. 15/01/1998, causa C-113/97). La Corte era  stata interpellata dal giudice nazionale belga in merito all'applicabilità della clausola di non-discriminazione in materia di "sicurezza sociale" prevista  dal precedente accordo di cooperazione tra Comunità Europee e Algeria, firmato nel 1976 e poi sostituito dall'Accordo euromediterraneo di Associazione,  in riferimento ad una prestazione sociale non contributiva   per disabilità.  La Corte così si esprime:

 "Per quanto riguarda,.., la nozione di previdenza sociale che figura in questa disposizione, dalla citata sentenza Krid (punto 32) e, per analogia, dalle citate sentenze Kziber (punto 25), Yousfi (punto 24) e Hallouzi-Choco (punto 25) risulta che essa va intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento n. 1408/71. Ora dopo la modifica operata dal regolamento (Cee) del Consiglio 30/04/1992 n. 1247, il regolamento n. 1408/71 menziona esplicitamente all'art. 4, n. 2 bis, lett. b ) (vedi anche l'art. 10 bis, n. 1, e l'allegato II bis di questo regolamento), le prestazioni destinate a garantire la tutela specifica dei minorati. Del resto, anche prima di questa modifica del regolamento n. 1408/71, costituiva giurisprudenza costante, sin dalla sentenza 28/5/1974, causa 187/73, Callemeyn (Racc. p. 553), che gli assegni per minorati rientravano nell'ambito di applicazione ratione materiae di questo regolamento... Di conseguenza, il principio,..., dell'accordo, che vieta qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza nel campo della previdenza sociale dei lavoratori migranti algerini e dei loro familiari con essi residenti rispetto ai cittadini degli Stati membri in cui essi sono occupati comporta che le persone cui si riferisce questa disposizione possono aver diritto agli assegni per minorati alle stesse condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini degli Stati membri interessati" .

Il giudice di Lucca,  opportunamente cita, per quanto riguarda la giurisprudenza italiana,  la  sentenza della Corte di Cassazione italiana, n. 17966/2011, depositata il 1 settembre 2011. I giudici di legittimità sottolineano l’esigenza di riconoscere il  primato della norma comunitaria contenuta negli Accordi di associazione CE-Marocco su quella interna confliggente, nonostante  la pensione di inabilità costituisca una  prestazione assistenziale e non previdenziale. Questo  in quanto    “non vi è  sovrapposizione tra il concetto comunitario di sicurezza sociale e quello nazionale di previdenza sociale”. Infatti, prosegue la Corte di Cassazione, “il concetto comunitario di sicurezza sociale deve essere valutato alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria per cui deve essere considerata previdenziale una prestazione  attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale o discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione legalmente definita e riferita ad uno dei rischi elencati nell’art. 4 c. 1 del Regolamento n. 1408/71, dove sono incluse le prestazioni di invalidità”. La Corte di Cassazione, dunque, conclude che “la Corte di Appello di Torino aveva fatto una corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell’ordinamento interno, per incompatibilità con il diritto comunitario, sia nel caso in cui il conflitto insorga con una disciplina prodotta dagli organi comunitari mediante Regolamento, sia nel caso in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell’ordinamento comunitario, ricavate in sede di interpretazione dell’ordinamento stesso da parte della  Corte di Giustizia europea” (Cass. sentenza n. 26897/2009).

Prima della sentenza di Cassazione dd. 1 settembre 2011, diversi tribunali di merito si erano già espressi a favore dell’applicabilità diretta nell’ordinamento italiano della clausola di parità di trattamento e non discriminazione in materia di sicurezza sociale contenuta negli accordi di associazione euro-mediterranei. Si possono citare al riguardo almeno le tre seguenti decisioni giurisdizionali: Tribunale di Genova, ordinanza 3 giugno 2009, Ahmed CHAWQUI c. INPS (relativo all’assegno di invalidità); Tribunale di Verona, ordinanza 14 gennaio 2010, n. 745/09 (relativo all’indennità speciale per i ciechi); Corte di Appello di Torino, sentenza n. 1273/2007 dd. 14.11.2007  (relativa all’indennità di accompagnamento).

Dopo la sentenza della Cassazione del settembre scorso, si segnalano  ulteriori pronunce favorevoli dei tribunale di merito: Tribunale di Tivoli, ordinanza dd. 15.11.2011, in merito all’accesso di una coniuge di lavoratore marocchino all’assegno di maternità comunale; Tribunale di Perugia, sentenza  n. 825/2011, in merito all’accesso di un cittadino marocchino all’assegno di invalidità, Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 16 luglio 2012,  in merito all’accesso di una cittadina turca all’assegno di maternità comunale, ed ora il Tribunale di Lucca.

Il giudice del lavoro di Lucca ha condannato l’INPS al pagamento delle spese legali.

Si ringrazia per la segnalazione l’avv. Ilaria Milianti,  del Foro di Lucca.

Commento  a cura di Walter Citti, del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

 
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