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Liberalizzazione dell'immigrazione con trasferimenti compensativi ai lavoratori nazionali

La correzione appena discussa risolve, come detto, il primo dei problemi posti da una strategia di piena liberalizzazione dell'immigrazione. Lascia pero' inalterato il secondo (il danno riportato dai lavoratori nazionali con l'apertura delle frontiere). Benche' allora il quadro descritto nel paragrafo precedente sia astrattamente accettabile in relazione al rispetto dei diritti fondamentali (il minimo per la sopravvivenza e' garantito a tutti), e sia anzi quello che meglio persegue l'obiettivo di massimizzare il numero di coloro che beneficiano degli standard minimi di benessere in una societa' ad economia avanzata, appare indispensabile considerare le modifiche atte a recuperare il consenso dei lavoratori nazionali. In questo paragrafo ci limiteremo a considerare il problema della tutela dei lavoratori nazionali, tralasciando quello della garanzia dei livelli minimi per i lavoratori stranieri.

In modo analogo a quanto visto in precedenza, e' possibile, sottraendo ai datori di lavoro parte dei maggiori profitti ottenuti con l'apertura delle frontiere, e trasferendola ai lavoratori nazionali, compensare esattamente la perdita di profitto che questi subiscono per il calo del salario di equilibrio. In tal modo, il profitto dei lavoratori nazionali, come si vede dalla Fig. 4, non dipende dal livello di apertura delle frontiere, coincidendo con il valore ottenuto a frontiere chiuse:

\begin{displaymath}p_N = \frac{b^2}{(a+1)^2}.\end{displaymath}

A dispetto della sottrazione effettuata, il profitto dei datori di lavoro risulta comunque monotonamente crescente con f, ancorche' piu' debolmente che nel caso di piena liberalizzazione (cfr. par.1):

\begin{displaymath}p_D = \frac{ab^2}{(a+1)} \left \{\frac{1}{a+1} + \left [
\frac{f}{a(f+1)+1}\right ]^2 \right \}.\end{displaymath}

Si vede infatti facilmente, dalla Fig. 1, come la quantita' di risorse che i datori di lavoro devono "restituire" ai lavoratori nazionali e' misurata dall'area ABCD, e costituisce solo parte dei maggiori vantaggi (area ABCH) ottenuti, con l'apertura delle frontiere, dai datori di lavoro.

Il profitto dei lavoratori stranieri mantiene ovviamente la stessa forma ottenuta nell'ambito della piena liberalizzazione,

\begin{displaymath}p_S = \frac{f b^2}{[a(f+1)+1]^2},\end{displaymath}

dal momento che stiamo assumendo che nessuna modifica sia introdotta, rispetto al quadro di piena liberalizzazione, in relazione alla condizione di tali lavoratori. Restano quindi inalterate le considerazioni svolte in precedenza riguardo ai rischi di dumping sociale della categoria.

Notiamo come, nell'ambito qui considerato, la determinazione di un qualunque grado di apertura che soddisfi la condizione

\begin{displaymath}0 < f \leq f_{1}\end{displaymath}

consenta a ciascuna delle categorie considerate di ottenere un livello di profitto non inferiore a quello ottenuto in regime di frontiere chiuse (vale a dire, per f=0). Possiamo infatti assumere che, a condizione che il loro salario superi il livello minimo necessario per la sopravvivenza, i lavoratori stranieri inseriti nel mercato godano di una situazione migliore di quella originaria.

La scelta del valore f=0 non e' quindi facilmente giustificabile sulla base di argomenti razionali, almeno quando si consideri il problema dal punto di vista dell'andamento del mercato del lavoro. Abbandonando tale scelta, l'esatta collocazione del valore di f prescelto entro l'intervallo indicato corrisponde a massimizzare il profitto dei datori di lavoro e dei lavoratori stranieri globalmente considerati ove ci si muova verso l'estremo superiore ( $f \rightarrow
f_{1}$), ovvero il profitto del singolo lavoratore straniero incluso nel mercato laddove si tenda verso l'estremo inferiore ( $f
\rightarrow
0$). La condizione dei lavoratori nazionali, naturalmente, non dipende dal valore di f.

Figure 4: Andamento del profitto in presenza di trasferimenti dai datori di lavoro ai lavoratori nazionali che garantiscano a questi ultimi il livello di profitto ottenuto a frontiere chiuse. Il profitto dei datori di lavoro cresce comunque monotonamente con f. Il profitto dei lavoratori stranieri cade al di sotto dei valori di sopravvivenza per f>f1. Qualunque livello di apertura delle frontiere tale da fornire 0<f<f1 e' giudicato conveniente, rispetto alla completa chiusura, da ciascuna delle categorie.
\begin{figure}
\epsfxsize=0.7\textwidth
\begin{center}
\epsfbox{plot06.eps} \end{center} \end{figure}


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Sergio Briguglio
1999-06-04